Il 60% degli immigrati stranieri presenti in Italia parla in italiano con gli amici e il 38,5% in famiglia. Più di otto stranieri su dieci hanno nella propria rete di relazioni sociali persone cui potersi rivolgere in Italia: il 61,9% ha una rete di soli connazionali, il 15,5% di soli italiani, il 20% ha una rete mista. Tra i bambini stranieri (6-13 anni), tra i quali è forte la presenza di seconde generazioni, il 69,1% ha il migliore amico di nazionalità italiana.

In tale universo di situazioni c’è una componente molto particolare di stranieri: sono coloro che hanno titoli di studio che vanno dalla Laurea, alle specializzazioni e perfino ai dottorati di ricerca. Per gli specialisti, questa particolare presenza è definita come “immigrati qualificati”; sono, cioè, una componente rilevante del flusso migratorio. Ma, una volta lasciato il proprio paese d’origine, esperienza, studi, capacità e professionalità non servono più a nulla.

Brain drain è la frase che meglio di ogni altra riesce a definire in modo efficace la perdita di risorse umane qualificate da parte di un Paese a causa dei flussi migratori verso l’estero. Tale fenomeno colpisce particolarmente la parte più impoverita del Sud del mondo e il suo incremento ed espansione sembra inarrestabile e, dal come vanno le cose nel mondo, irreversibile.

Il fenomeno della fuga dei cervelli dalle aree più impoverite del mondo verso quelle a più alto tasso di benessere e di sicurezza è una questione che non deve essere trascurata né sottovalutata.

Secondo la Fondazione “Leone Moressa”, l’ente di ricerca con sede operativa a Mestre, l’Italia è ultima in classifica nell’UE per incidenza dei laureati di origine straniera (9,5%), indietro rispetto alla media UE (24,4%). Gli unici due paesi in grado di attrarre stranieri altamente qualificati sono Svezia e Regno Unito, in cui, rispettivamente, gli stranieri con titolo di studio alto sono il 37,2% e il 47,8%.

I protagonisti del brain drain rappresentano una popolazione dalle enormi potenzialità che, purtroppo, trova scarse possibilità di adeguati sbocchi nelle società dove essi approdano. Osserviamo, infatti, che alcuni paesi destinatari di importanti flussi migratori non hanno – e non hanno mai avuto – una chiara e stabile strategia istituzionale verso questa particolare componente di immigrati. E’ questo il triste caso dell’Italia.

In questo nostro paese risiedono circa di 900mila immigrati stranieri con titoli di studi superiori (lauree, specializzazioni e perfino dottorati di ricerca) ma la grandissima parte di essi svolge attività per niente coerenti con le loro conoscenze, competenze e abilità, cioè, svolgono attività molto diverse rispetto alle professionalità conseguite nei loro paesi d’origine. Mettendo, infatti, a confronto le loro competenze professionali con il tipo di attività che svolgono qui in Italia, emerge che più del 75% delle donne e più del 68% degli uomini subiscono, con l’andare del tempo, un doloroso e progressivo processo di dequalificazione delle loro conoscenze, professionalità e competenze.

Immigrati Dequalificati 2

Le storie dell’ingegnere che fa il cuoco, dell’antropologa che fa la domestica o del medico che fa il benzinaio appaiono unite da un insieme di circostanze a cominciare, per esempio, dall’assenza di meditate politiche di accoglienza e di aggiornamenti professionali concepite per gli immigrati con qualificati titolo di studio i quali, proprio in mancanza di ciò, sono costretti -per esigenze di sopravvivenza- a frequentare corsi di mediatori interculturali, di collaboratrici domestiche, di meccanico, di saldatore, di pizzaiolo, ecc., ecc.

La conseguenza del grave vuoto di attenzione verso i professionisti stranieri che vivono in Italia è che essi sono vittime di una doppia forma di discriminazione: verso la loro professione e verso la loro dignità. Questa constatazione, a sua volta, rinforza una seconda doppia perdita: quella di non essere stati valorizzati nel – o dal – proprio Paese di provenienza né dall’Italia, cioè, dove è arrivato in cerca di futuro.

Evidentemente, il grosso problema sta a monte, cioè, è molto difficile arrivare al riconoscimento di un titolo di studio non conseguito in Italia. Per ottenere la validità di una laurea non comunitaria ci vogliono tempo, pazienza e la voglia di rimettersi sui libri: l’equiparazione prevede infatti, nella maggior parte dei casi, il superamento di esami aggiuntivi.

Dopo anni di studio, dunque, magari anche dopo una specializzazione presa in un’Università italiana, è molto raro che un cittadino non comunitario riesca a trovare un lavoro che abbia qualcosa a che vedere con gli studi che ha fatto. Ma anche per i cittadini non comunitari che studiano in Italia, e riescono ad arrivare alla laurea, le difficoltà non mancano: per andare avanti è necessario avere la cittadinanza italiana.

Un altro aspetto grave con cui si scontrano gli immigrati qualificati in Italia è la resistenza degli ordini professionali, da quello dei medici e quello dei commercialisti o dei giornalisti, ad allargarsi a loro (e ai giovani in generale). Il sistema degli ordini professionali ha una chiusura sociale molto forte, che vede come vittime, in primo luogo, gli stranieri qualificati ma anche i ragazzi neolaureati (esistono, comunque, alcuni casi fortunati di battaglie vinte, innanzitutto con il matrimonio e l’ottenimento della cittadinanza italiana).

Immigrati Dequalificati 3

Una terza criticità, ben più complessa, che riscontrano gli immigrati con titoli di studio in Italia, è quello della scarsa richiesta di personale straniero tecnico qualificato, come al contrario avviene in altri paesi. Qui la grande richiesta è per quei lavori rientranti tra le cinque “P” di cui parla il sociologo Maurizio Ambrosini: precari, poco pagati, pericolosi, pesanti e penalizzati socialmente. Sembra, insomma, che nessuno si avvantaggi da un numero così alto di professionisti immigrati in giro per il Bel Paese. Al contrario, questi professionisti sono gli unici soggetti che perdono in tutti i sensi.

Contro la dilagante dequalificazione dei laureati stranieri presenti in Italia, un processo di riqualificazione delle loro competenze potrebbe essere una strada molto conveniente all’Italia ma, tale strada appare ancora oggi molto lunga e piena di difficoltà (a partire dal fatto che non sempre è facile concordare circa i fattori che potrebbero contribuire ad una loro risalita professionale e sociale).

Su una cosa, però, quasi tutti sembrano convenire: questi professionisti stranieri possiedono un ampio e potentissimo capitale sociale (il che li permette muoversi con grande plasticità in articolate reti di relazioni che travalicano la cosiddetta dimensione etnica).

Molto andrebbe fatto per valorizzare le potenzialità di questa particolare presenza straniera in Italia. Penso, ad esempio, alla loro elevata capacità di valorizzare le proprie prestazioni ma anche al loro saper muoversi efficacemente in contesti pluriculturali. Loro, infatti, possiedono un elevato tasso di competenza interculturale. E questo è uno degli elementi che le imprese di oggi cercano, sempre di più, nel profilo professionale dei loro potenziali collaboratori. Di questo bisognerà tener conto il giorno in cui l’Italia si deciderà a cambiare atteggiamento nei confronti di questa preziosa ma profondamente sottovalutata presenza straniera.

Edgar J. Serrano – e.serrano@unipd.it