Cronache dalla zona rossa, giorno 7: 14/03/2020

È già passata una settimana.
Una settimana stranissima, a volte intensissima, altre stranamente inerme.
Già da un paio di giorni pensavo di scrivere del sentimento che, più o meno silente, accompagna queste nostre giornate: la paura.
Penso sia venuto il momento.
Avere paura è normale, è giusto, ci permette di conoscerci meglio.
Io ho paura, i miei collaboratori più vicini hanno paura. Certamente è una giusta paura, è una preoccupazione che ha il profumo delle persone care che abbiamo a casa, ma anche lo sguardo tenero verso la Caritas.
Cosa succede se risultiamo positivi? E le persone che vivono con noi?
Quali saranno le conseguenze per la Caritas?
Ma, soprattutto, quale potrebbero essere le ricadute per le persone che si affidano a noi?
Quando non siamo in Caritas, siamo barricati in casa. Non ce lo siamo detto, sono bastati gli sguardi per capirlo.
Sono ormai più di 10 giorni che ho scelto di non vedere i miei genitori ultra ottantenni. Alla loro spesa ci pensa mia sorella. Mi mancano!
È una scelta sufficiente?
E, le precauzioni che stiamo prendendo nella gestione dei servizi, bastano?
Cosa dire della mancanza di mascherine?
Ogni volta che la giornata rallenta, queste domande rimbalzano nei pensieri.
In assenza di indicazioni precise, è il principio della precauzione che ci deve orientare.
Come si coniuga il principio di precauzione con i bisogni delle persone?
Come frenare gli slanci altruistici che, inevitabilmente, conoscendo le persone che chiedono aiuto, ognuno di noi deve gestire?
SI fa presto a parlare di norme e principi ma, quando le distanze da tenere hanno il volto, lo sguardo, la voce di chi conosci e io so che è solo e in difficoltà, la razionalità deve fare i conti con la nostra umanità.
Una risposta c’è ed è semplice, affidarsi, affidarsi alle persone vicine.
I nostri familiari, gli amici, i colleghi, …
Non c’è modo migliore per affrontare la paura che farlo insieme e, se non è possibile farlo di persona, usiamo il telefono.
Questo è il periodo giusto per sperimentare, l’uno verso l’altro, la rivoluzione della tenerezza tanto cara a Papa Francesco.
Questa è la ricetta magica, certamente non facile a praticarsi, che cerchiamo di vivere in Caritas.
Quando qualcuno diventa un po’ serio, c’è pronto qualcun altro a fare una battuta per alleggerire.
È una ricetta che ha il sapore della comunità, il calore della fraternità, la leggerezza dell’amicizia.
È insieme che si affronta la paura, è insieme che si affrontano le difficoltà, è insieme che si aiuta chi ha bisogno, …
È chi è solo? È mia e nostra responsabilità accoglierlo nell’insieme della comunità, la comunità umana, un insieme unico e inseparabile.

Saluti responsabili, restiamo insieme, dalla zona rossa